venerdì 3 luglio 2009

© Salvatore Ligios


IL PIU' MANCINO DEI TIRI


... Gherradores si profila come tappa necessaria nel percorso narrativo di Salvatore Ligios, fondamentale per capire il senso dell’intero discorso anche grazie alla possibilità di cogliere, in questa nuova produzione, l’accettazione della maturità e dell’imprevista libertà che ne consegue.
(...) Ligios spoglia le sue immagini da ogni ricercatezza o tratto aggiunto, seppur stilisticamente conquistato. Asciuga le immagini da tutto, anche da se stesso, confrontandosi con la ridefinizione della figura umana inserita in un contesto quotidiano. Sgrossa l’impianto fotografico mentre continua a raccontare muovendosi tra vicenda privata e inchiesta sociale, riflessione metodologica e volontà sperimentativa. Preleva degli adolescenti da un reale discontinuo muovendosi secondo un doppio scarto mentale: ad una collocazione geografica
periferica – luogo già identificato come a lui congeniale per motivi personali-artistici –
affianca un ulteriore margine, quello dell’età dei modelli. La decisione di cogliere questi ragazzi in bilico tra due momenti, due mondi fisici – l’infanzia e l’età adulta –, si rivela un gioco da equilibrista, una perfomance circense. Ma soprattutto si delinea come una precisa volontà di riflessione. Sottolinea la deceduta classificazione per tappe anagrafiche, l’inadeguatezza della stessa terminologia; ribadisce l’irraggiungibilità della maturità e l’obsolescenza della purezza
infantile. Ligios sceglie deliberatamente una fase di passaggio, di movimento – quando il
corpo non ti appartiene più in preda a inarrestabili tumulti ormonali e sentimentali – per raccontare tutte le transizioni e rivendicare la fragilità dell’identità. A questo divenire tematico contrappone una scelta stilistica precisa optando non per la dinamica della performance calcistica – come forse ci si poteva aspettare – ma per la fissità della posa. Con questa preferenza estetica,
avvicinando il soggetto alla macchina e volendolo statico, fisso, di volta in volta concentrato su se stesso, ammiccante, sornione o distaccato, Ligios colloca questi gherradores alla fine di una lunga tradizione estetica che dal kouros greco arriva fino a noi passando per il San Giorgio di Donatello e gli album delle figurine dei calciatori, la rappresentazione sportiva dei regimi totalitari e la contemporanea glorificazione del calciatore campione del mondo convertito a modello nelle sfilate di moda. Tutta la gloriosa tradizione di archetipi maschili rivive – forse inconsapevolmente, forse no – in questi giovani guerrieri, nel loro essere rappresentazione non di un individuo ma di
un’idea, nell’autorità di una posa la cui autorevolezza – rubata – consente l’identificazione eroica...


dal testo di Sonia Borsato

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